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Patient empowerment

Il concetto di empowerment del paziente è in realtà complesso e conviene definirlo in modo articolato, includendovi diverse componenti, a loro volta formate da più componenti.

Patient empowerment-modello

L'articolo di Schulz e Nakamoto s'intitola Health literacy and patient empowerment in health communication: The importance of separating conjoined twins. Gli autori tendono a identificare l'empowerment con la padronanza, adottando così un concetto ristretto di empowerment. In realtà è preferibile far riferimento a un concetto allargato e includere l'alfabetizzazione sanitaria nell'empowerment.

Nel loro articolo propongono un'interessante tabella a doppia entrata, che fa immediatamente capire come, a seconda di come si combinano livelli di alfabetizzazione e di padronanza, possiamo avere schematicamente quattro condizioni diverse.

Per dire che il lavoro di empowerment è riuscito, occorre che il paziente, oltre ad avere una certa sicurezza e padronanza, abbia una buona alfabetizzazione sanitaria e che possegga una serie di abilità essenziali per affrontare efficacemente i problemi e le decisioni della salute e delle cure.

Peter Schulz e Kent Nakamoto, in un articolo del 2013 su Patient Education and Counseling, insistono sull'importanza di distinguere tra padronanza, mastery, e alfabetizzazione sanitaria, health literacy, sottolineando che occorrono entrambe. Portano casi in cui c'è l'una senza l'altra e nascono problemi. Il rifiuto da parte dei genitori di vaccinare i bambini a seguito di notizie infondate sul rischio di autismo dovuto al vaccino è un esempio di alta padronanza e bassa alfabetizzazione, che peggiora la sanità esponendo i piccoli a rischi di infezioni. Al contrario studi sul supporto online ai pazienti affetti da fibromialgia hanno mostrato che, pur essendo ben preparati, questi tendono a sentirsi insicuri, col che il supporto online non funziona. Evidentemente occorrono al tempo stesso alti livelli di padronanza e di alfabetizzazione.

Oltre all'alfabetizzazione sanitaria e alla padronanza servono certe abilità. Alcune di queste sono oggi ben note e studiate e si sa che servono in generale per la vita, non solo per ottenere buone cure e costruire la propria salute, per cui si parla di life skills. Particolrmente interessanti sono l'approccio scientifico e la saggezza.

Sono state proposte diverse classificazioni dell'alfabetizzazione sanitaria. Interessante è la distinzione di Don Nutbean tra alfabetizzazione di base o funzionale, alfabetizzazione comunicativa o interattiva e critica.

Nella padronanza di solito si distinguono una componente psicologica e una sociale, seppure tra loro in interazione. Una persona può impegnarsi per affrontare al meglio i problemi della propria salute e sentirsi all'altezza, ma  trovare intorno a sè un ambiente che ne limita l'autonomia. Ad esempio, gli operatori sanitari con cui ha a che fare possono scoraggiare i suoi sforzi di partecipare alle cure o pretendere, più o meno esplicitamente, che si comporti da utente passivo.

La padronanza psicologica è legata soprattutto alle abilità, grazie alle quali  riusciamo a raccogliere le informazioni necessarie, a cimentarci con l'incertezza, a trovare l'approccio giusto per addentrarci nel terreno della scienza, a essere sufficientemente razionali ed equilibrati e a rapportarci agli altri in modo adeguato. Fondamentale è la capacità di gestire la paura. Se il desiderio di toglierci la paura prevale su quello di analizzare e risolvere il problema di salute che abbiamo di fronte, tendiamo ad arrenderci, a delegare, a passare la mano e la padronanza psicologica viene meno. Per questo la padronanza psicologica tende a far difetto nelle malattie gravi o ritenute gravi. Il classico modello delle risposte parallele di Leventhal, rivisto alla luce delle ricerche successive, può aiutare a capire come gioca la paura quando le persone reagiscono al fatto di avere una malattia o al rischio di averla.

Conta molto anche la capacità di accostarsi alla scienza. La pratica medica ha alle spalle la conoscenza scientifica. Nonostante questa sia oggi più accessibile per tutti, resta lontana, nel senso che le persone stentano ad afferrare la scienza e le sue acquisizioni e, quando ci hanno davvero a che fare, hanno l'impressione di una realtà lontana e irragiungibile. Come colgono l'abisso che li separa dalla conoscenza scientifica, i pazienti possono scoraggiarsi e tirarsi indietro per delegare tutti i loro problemi sanitari ai professionisti del settore.

Gli studi indicanno che le persone affette da malattie ematologiche maligne (leucemie, linfomi, mielomi) tendono ad avere una minore padronanza psicologica. Rispetto a quel che accade nei tumori solidi, in quelli ematologici si riscontra una percentuale decisamente minore di pazienti che desiderano partecipare alle scelte cliniche e sono molti di più quelli che desiderano avere un ruolo passivo. Probabilmente in queste malattie si combinano difficoltà a gestire la paura e senso di distanza della conoscenza scientifica in gioco. Si tratta di malattie che per lo più minacciano la vita nel breve periodo e dove i  trattamenti sono dagli esiti incerti. D'altra parte è davvero impegnativo addentrarsi nella concezione scientifica di queste malattie ematologiche e delle cure, a cominciare dal semplice fatto che sono tumori senza una sede per arrivare alla complessità di alcune azioni terapeutiche. Peraltro alla scarsa padronanza psicologica si unisce la scarsa padronanza sociale e l'una favorisce l'altra. Per una serie di ragioni in ambito ematologico c'è scarsa propensione a responsabilizzare il malato.

Jochen Ernst et al. (2010, 2011) sembrano concludere che il desiderio di restare passivi dei pazienti ematologici va rispettato senza tentare nulla, per non forzarli. A ben guardare però questo modo di pensare, a prima vista rispettoso, nega all'origine che un paziente ematologico, reso più capace di gestire la paura e di approcciarsi alla conoscenza scientifica e messo in un contesto clinico diverso, possa modificare le proprie preferenze e vivere più da protagonista l'esperienza della malattia. Certo in situazioni del genere l'empowerment richiede soprattutto che si sviluppino skills, come l'approccio scientifico, la saggezza, la gestione della mente e delle relazioni. Difficilmente può sviluppare queste abilità un servizio sanitario, men che meno al momento di affrontare una grave malattia. Agenzie culturali, a cominciare dalla scuola, devono farsi carico del lavoro di sviluppo di life skills della popolazione.

 

Reazione alla malattia-modello a due vie

Il modello delle risposte parallele di Leventhal aiuta a capire le reazioni alla malattia e il problema della gestione della paura.

Questo articolo di Valerie Reyna et al. del 2015 fa il punto dello stato attuale delle conoscenze sul problema delle decisioni che le persone si trovano a prendere nella cura del cancro, con riguardo al rapporto tra emozioni e cognizione.

In un articolo del 2011 Ernst at al. confrontano il desiderio di decisione condivisa di pazienti con tumori solidi e ematologici.

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